Come è nata, come funziona e a cosa serve l’applicazione con cui il governo vuole tenere meglio sotto controllo l’epidemia da coronavirus
Dall’inizio di questa settimana è possibile scaricare sul proprio smartphone Immuni, l’attesa applicazione per semplificare il tracciamento dei contatti e ricevere avvisi nel caso in cui si sia entrati in contatto con persone poi risultate positive al coronavirus, e potenzialmente contagiose. L’app è disponibile sia per iPhone sia per telefoni Android, ha ricevuto molti apprezzamenti per l’attenzione dedicata alla privacy e per la semplicità di utilizzo, ma ha fatto sollevare qualche dubbio sulla sua utilità a distanza di settimane dalla fase di maggiore emergenza e qualche critica per i ritardi accumulati, benché sia una delle prime applicazioni nel suo genere a essere diffusa in Europa.
Immuni si basa su una versione della tecnologia per la trasmissione di dati senza fili Bluetooth (BLE), simile a quella che consente a un paio di cuffie wireless di collegarsi al proprio smartphone e che Apple e Google hanno sbloccato nei loro sistemi operativi, rendendola accessibile anche per uno scopo diverso e inimmaginabile prima della pandemia come il tracciamento dei contatti.
Dopo averla scaricata e avviata, Immuni non richiede molte interazioni, a parte concederle di utilizzare il Bluetooth. Ogni giorno, l’applicazione genera una chiave alfanumerica (lettere e numeri) sulla base della quale produce un codice identificativo (ID), che viene poi emesso dallo smartphone tramite il Bluetooth per circa 15 minuti. Alla scadenza dell’ID, Immuni provvede a generarne uno nuovo, sempre legato alla stessa chiave nota solo all’applicazione. In questo modo diventa praticamente impossibile per un utente malintenzionato risalire da un ID a uno specifico smartphone.
Comprendere il funzionamento di Immuni richiede un po’ di ginnastica mentale, proviamo con un esempio. Paolo si siede su una panchina al parco dove è seduta Francesca, che non conosce: lui sta ascoltando un po’ di musica, lei sta leggendo un libro. Dopo una ventina di minuti, Francesca chiude il libro, si alza e fa una passeggiata fino a casa. Il giorno dopo inizia a sentirsi poco bene, ha qualche linea di febbre e difficoltà a respirare, il suo medico le prescrive un test tramite tampone per verificare l’eventuale presenza del coronavirus. Francesca effettua il test, passa un giorno e viene contattata da un operatore sanitario che l’avvisa di essere risultata positiva e che dovrà rimanere in isolamento a casa, avendo cura di segnalare al medico l’eventuale peggioramento dei sintomi.
L’operatore propone poi a Francesca, che aveva già installato Immuni, di usarla per segnalare il suo caso, in modo che possano essere avvertite le persone incrociate nei giorni precedenti e con l’app sui loro smartphone. Francesca acconsente, l’operatore le chiede di leggerle un codice che genera l’applicazione (nella sezione “Caricamento dati”), di fornire la provincia in cui vive e indicativamente il giorno in cui ha iniziato ad avere i sintomi.
Queste informazioni vengono inviate dall’operatore al centro dati, dopodiché Francesca ha circa due minuti per premere il tasto “Verifica” sulla sua Immuni, in modo che l’app possa confermare la corrispondenza con il codice inserito dall’operatore e possa avviare il trasferimento delle chiavi che aveva generato nei giorni precedenti (quelle che servono per produrre gli ID ogni 15 minuti). Nessun dato personale o riconducibile a Francesca viene trasmesso e caricato.
Mentre Francesca è a casa a letto con la febbre, Paolo è a passeggio ignaro di tutto. Come ogni giorno, la sua app Immuni si collega al centro dati e chiede l’elenco delle chiavi caricate dalle app dalle persone risultate positive negli ultimi giorni, come Francesca. Scaricata la lista delle chiavi, Immuni verifica eventuali compatibilità con gli ID che aveva captato dagli smartphone delle persone con cui era entrato in contatto Paolo. Trova una corrispondenza con una chiave (quella di Francesca) e attiva quindi una notifica che Paolo vede sullo schermo del suo telefono: Immuni gli segnala di essere entrato in contatto con qualcuno poi risultato positivo e che poteva essere contagioso. Paolo non saprà mai che fosse Francesca la persona contagiosa, ciò che conta è altro: che sappia di essere stato esposto, che applichi qualche precauzione in più e che consulti un medico.
Funzionerà?
Immuni, come le applicazioni simili che stanno emergendo negli altri paesi, è in un certo senso una novità senza precedenti nel panorama delle app e dei servizi tramite smartphone: è quindi difficile fare previsioni su quanto potrebbe rivelarsi utile per contrastare la diffusione dell’epidemia da coronavirus nel nostro paese. Dove sono state impiegate soluzioni simili, come in Corea del Sud, non è stato ancora possibile determinare se abbiano avuto o meno un impatto positivo e in che misura. Il contact tracing viene eseguito in primo luogo attraverso il lavoro di addetti, che si occupano di ricostruire le catene dei contagi verificando se gli esposti siano stati infettati. Le applicazioni possono facilitare alcuni passaggi di questo processo, facendo anche aumentare il senso di responsabilità tra i singoli.
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